Dalla teoria alla pratica
Nella fase di produzione di un videoclip musicale si ricerca la massima qualità tecnica possibile, la miglior fotografia e interpretazione artistica ottimale. Il performer deve uscirne sempre al meglio.
Fino ad ora abbiamo visto come ci si approccia alla pre-produzione e alla preparazione dei materiale e di tutti i documenti di cui il nostro videoclip necessiterà.
È tempo di iniziare le riprese, carichiamo le macchine, procuriamoci le cassette o le memory card, le batterie di riserva e prepariamoci al primo ciak.
Il lavoro di gruppo della troupe è essenziale per la buona riuscita delle riprese, dal ciacchista, che va davanti alla cinepresa a battere il ciak, sin all’ultima comparsa, ci deve essere fluidità.
Ma quali tecniche adottare? Come girare? Per chi non sapesse bene o chi non ricordasse, diamo quindi le basi teoriche e pratiche delle inquadrature principalmente usate nel linguaggio cinematografico.
Senza dubbio un elemento che bisogna conoscere e saper utilizzare al meglio è l’obiettivo e le sue varie ottiche.
Le videocamere sono dotate di un obiettivo a focale variabile ovvero lo zoom, grazie ad esso possiamo effettuare tutti i cambi di campo possibili senza spostare la camera anche se ciò comporta una perdita del quadro d’inquadratura.
Zoomare manualmente spostando la camera è il modo migliore per avvicinarsi al soggetto e non perdere l’inquadratura. Lo zoom è un componente tipico di ogni camera digitale. Le camere con ottiche intercambiabili, benché dotate di zoom, lo adottato in maniera ridotta perché ogni lente ha una propria lunghezza focale e profondità di campo, ciò significa che zoomare troppo o poco comporta uno sfocamento dell’immagine.
Sempre in relazione all’obiettivo, dobbiamo considerare la messa a fuoco, regolabile anche grazie allo zoom.
La messa a fuoco automatica libera dalla continua preoccupazione dell’aggiustamento del fuoco durante gli spostamenti del soggetto, ma le riprese possono sembrare ovvie e in qualche caso perdere la messa a fuoco in bruschi cambi di campo.
La profondità di campo è tutto ciò che è a fuoco nella nostra inquadratura rispetto al soggetto ripreso, questo valore dipende dalla lunghezza focale delle lenti o dallo zoom, dall’apertura del diaframma e dal punto di messa a fuoco.
Conviene quindi intervenire manualmente sulla messa a fuoco agendo sulla ghiera o sui pulsanti di messa a fuoco per creare anche quegli effetti di sfondo sfocato o cambio di fuoco da un soggetto all’altro che piacciono molto al pubblico e agli amanti della bella fotografia.
Nelle ottiche fisse la prima ghiera è quella del focus mentre la seconda è quella dello zoom. Naturalmente questi comandi possono essere utilizzati anche in maniera automatica utilizzando gli appositi pulsanti.
Tutto quello che sarà ripreso dall’obiettivo, potrete vederlo attraverso il mirino elettronico, in inglese view-finder, e lo schermo lcd posto a lato della camera. Spesso questo schermo è troppo piccolo e scarsamente realistico, è quindi buona cosa verificare la qualità dell’immagine sfruttando un collegamento tramite monitor tv.
Portiamo con noi un piccolo televisore, anche in bianco e nero, per verificare che la fotografia sia quella richiesta e che le riprese avvengano nel modo corretto.
Un altro elemento che ogni regista deve conoscere è il diaframma, strumento che regola la quantità di luce che affluisce nella videocamera attraverso l’obiettivo, fino a giungere sui CCD.
La regolazione del diaframma può avvenire manualmente agendo sulle impostazione dell’IRIS tramite i menù oppure automaticamente, spostando il comando nella posizione AUTOIRIS.
Il diaframma, oltre che sulla quantità di luce, incide anche sulla profondità di campo, ovvero quella porzione di spazio davanti e dietro il soggetto principale che, durante la ripresa, risulta a fuoco, cioè nitida. Essa risulta tanto più ampia, quanto minore è l’apertura del diaframma.
Con ottiche di lunghezza focale diversa come il tele obiettivo o il grandangolo, che ha una profondità di campo maggiore rispetto al teleobiettivo, possiamo notare come la zona di fuoco sia differente e quindi il soggetto si debba posizionare a distanze differenti dalla telecamera per essere a fuoco.[1]
Un diaframma aperto riduce la profondità di campo e permette di sfruttare il cosiddetto “fuoco selettivo”, molto utile per isolare un soggetto dallo sfondo, utile soprattutto nella ripresa di primi piani.
Una cosa importante per la fotografia è controllare sempre il bilanciamento del bianco, impostandolo manualmente, puntando su un foglio bianco l’obiettivo e utilizzando il comando di white balance presente sulla camera o il pulsante di preset.
Utilizziamo il diaframma per regolare la quantità di luce che entra nel nostro obbiettivo e usando infine il comando nd filter possiamo regolare ulteriormente la luminosità della nostra scena con tre intervalli d’esposizione. Questi filtri interagiscono in maniera rilevante con l’esposizione dell’immagine.
Presa confidenza con il corpo macchina e con ciò che possiamo fare con le funzioni della nostra telecamera passiamo ad analizzare le inquadrature e i modi corretti di riprendere un soggetto.
Prima di parlare dei vari tipi di inquadrature è doveroso dire che quando creiamo un’inquadratura dobbiamo sempre dare un minimo di spazio, in gergo “aria”, alla nostra immagine.
Ciò non significa però stringere troppo sul soggetto inquadrato e lasciare dello spazio intorno ad esso, anche in previsione di un futuro taglio sul frame. Questa è una regola della fiction e non sempre nel videoclip è tenuta in considerazione ma è bene sapere come costruire una buona inquadratura prima di realizzare inquadrature “creative”.
Dobbiamo pensare inoltre che sugli schermi lcd del computer vedremo tutto ciò che comprende l’inquadratura mentre sugli schermi tv di casa l’immagine verrà tagliata ai lati.
Per questo motivo in fase di montaggio è bene utilizzare la griglia di sicurezza che mostra, in maniera ottimale, la zona che verrà tagliata nella trasmissione in tv.
Saper sfruttare il controcampo, il campo contro campo e anche la panoramica, la carrellata e conoscere come realizzare un piano sequenza è essenziale e riporta alla concezione di un linguaggio cinematografico professionale.
Oltre questi modi di riprendere bisogna saper creare il giusto “taglio” per le inquadrature.
Mostriamo ora quali sono le inquadrature che si possono attuare su un soggetto.
La prima è la figura intera (FI), che parte dalla testa e include anche i piedi, viene usata spesso per presentare un personaggio insieme anche ad una panoramica dal basso verso l’alto e comprende una zona d’aria sopra e sotto il soggetto.
Dalla FI si passa al piano americano, chiamato così per l’ampio uso che ne hanno fatto i film americani nel genere western. Si effettua il taglio all’altezza delle gambe o all’altezza del ginocchio e si da un po’ d’aria in testa.[2]
Stringendo ancora di più si passa al mezzo busto, un’inquadratura molto usata nel linguaggio audiovisivo per dare espressività al personaggio, valorizzando anche i movimenti del corpo e delle mani. Si effettua tagliando l’inquadratura all’altezza dello sterno o dell’ombelico.
Per aumentare il livello di espressività del personaggio si usa il mezzo primo piano, poco considerato perché è una via di mezzo tra primo piano e mezzo busto ma utilizzato abbastanza spesso.
Ora definiamo una delle inquadrature più espressive e usate del linguaggio audiovisivo, il primo piano. Scelto per dare risalto al volto del soggetto e alla sua mimica, partendo dal filo delle spalle è, assieme al primissimo piano, una delle inquadrature che danno maggiore caratterizzazione al personaggio.
Importante è avere sempre il mento nell’inquadratura quando si parla di queste inquadrature.
Se poi stringiamo ancora di più sul soggetto arriviamo a creare un particolare o un dettaglio.
La differenza tra particolare e dettaglio è che nel primo caso viene riferito a una persona o a un animale e nel secondo caso ad oggetti o cose inanimate.
In conclusione con questa figura rivediamo tutte le tipologie di inquadratura e le loro abbreviazioni da usare nei documenti di pre-produzione.
Spostandoci dal nostro soggetto e diventando i “suoi occhi” si può parlare di soggettiva.
Si dice soggettiva quando la camera diventa “l’occhio del protagonista”.
Deve trasmettere allo spettatore la sensazione che sia il protagonista stesso a camminare, a guardare o a compiere un’azione, importante è che l’altezza della camera corrisponda all’altezza degli occhi del protagonista sennò si ha un errore e non si parla più di soggettiva.[4]
Prima abbiamo parlato di “aria”, con questo termine indichiamo uno spazio sopra, sotto, a lato del soggetto o dell’oggetto inquadrato che conferisce maggiore respiro all’inquadratura. Si può dare poca o molta aria a destra, a sinistra, in testa o ai piedi. Nelle inquadrature successive abbiamo un esempio di giusto spazio dato all’inquadratura e di come si può sbagliare dando troppa aria ad un lato in particolare.
Ci sono delle eccezioni da tenere presente: lo sguardo e la postura del corpo determinano l’aria da dare al soggetto.
Lo spazio a destra o a sinistra del soggetto è da considerarsi un errore almeno che questo non stia guardando in una certa direzione o si muova verso qualcosa, se dobbiamo spostare una persona e posizionarla nello spazio dell’inquadratura, in questi casi, dovremo dare aria per creare una continuità cinetica al movimento e all’inquadratura.
Se sta andando a sinistra daremo aria a sinistra e se va a destra la daremo a destra dell’inquadratura.
Quando poi si riprende di profilo o di tre quarti una persona, bisogna dare lo spazio davanti al viso e portare la nuca o tutto il corpo al limite dell’inquadratura.
Come si può notare il profilo della persona si appoggia al margine dell’inquadratura, questa regola deve essere sempre rispettata anche in caso di figura intera e a maggior ragione quando si ha l’inquadratura di due persone che si guardano di profilo. [5]
Questa tecnica è utile per riempire l’inquadratura e focalizzare l’attenzione sui soggetti.
In un incontro tra due persone che si guardano faccia a faccia occorre posizionare la telecamera in un modo particolare che permetta di avere sia da un lato che dall’altro il medesimo taglio dell’inquadratura. Quando si parla di situazioni del genere si deve per forza fare menzione al “campo di ripresa”.
Immaginiamo di vedere la scena dall’alto, i due personaggi (A e B) si guardano frontalmente. Dobbiamo tracciare una linea retta immaginaria che taglia in due l’inquadratura, a circa metà testa, in questo modo si ottiene il campo di ripresa.
Le due telecamere devono posizionarsi dalla stessa parte del campo e non devono mai scavalcare la linea immaginaria sennò si avrebbe un errore chiamato scavalcamento di campo.
Un errore grave perché lo spettatore ad un certo punto non riesce più a capire dove il personaggio A sta guardando e dove è collocato realmente nella scena.
Qui sotto un campo – controcampo correttamente realizzato.[6]
Nel campo e controcampo si tiene lo stesso taglio di inquadratura o in caso di necessità una delle due inquadrature può essere più larga.
Per ultima, ma non di minore importanza, parliamo dell’inquadratura in totale e dei campi.
Il totale è come dice la parola stessa “la totalità della scena”, viene usato spesso negli spettacoli e serve per far vedere allo spettatore la complessità della scena e la posizione dell’interprete nella scena stessa.
Quando invece non vogliamo realizzare un totale, si crea un’inquadratura più contenuta che viene detta in gergo “totalino”.[7]
Infine diamo qualche snapshot dei campi.
Il campo medio è un’inquadratura dove l’ambiente circostante o la scenografia sono ben visibili nella scena.
Il campo lungo invece è inquadratura in esterna, che nella sua profondità mostri, oltre a svariati dettagli ambientali, situazioni attinenti alla trama.
Per ultimo poi c’è il campo lunghissimo, inquadratura a larghissima visuale dove il soggetto della ripresa si perde nella scena.
Questa inquadratura, in base a come viene usata, viene anche detta “panorama o gran totale”.
Gli ultimi termini e tecniche che dobbiamo conoscere e saper usare sono elencate di seguito.
La panoramica, cioè lo spostamento della camera sul suo asse orizzontalmente che avviene generalmente da sinistra a destra.[8] Molto simile alla carrellata ma usata solo con inquadrature con grande profondità di campo.
Il tilt invece è il movimento in verticale della camera, sempre sul suo asse, dall’alto al basso o viceversa. Questa inquadratura è solamente descrittiva affiancata anche alla figura intera e deve essere usata con parsimonia per non sforzare troppo lo spettatore.
La carrellata, ovvero quel movimento in orizzontale della camera posta su di un binario o su ruote, viene usata nel seguire una camminata di un soggetto, nel videoclip può essere usata anche per una sequenza in cui l’artista cammina o balla attraversando vari fondali.
Nel videoclip generalmente si riprende il performer o il gruppo con una figura intera, per passare poi a primi piani e dettagli degli strumenti.
Quando riprendiamo un videoclip cerchiamo di usare un piano sequenza da poter poi spezzare in montaggio. Questo per avere un ciak completo del brano senza spezzettamenti vari, utile per montare il video senza paura di rimanere senza una scena.
Il piano sequenza è un’inquadratura, temporalmente molto lunga, in cui non si stacca mai la camera, in pratica è una ripresa, senza pause, di una scena. Questo genere di ripresa viene usata come base narrativa su cui poi vengono aggiunti pezzi di ripresa e inquadrature varie.
Saper utilizzare correttamente queste inquadrature ci serve per poi sconvolgere il sistema di ripresa e creare uno stile unico e inimitabile.
[1] T. St. J. Marner, 2003, “Grammatica della regia”, Lupetti editori, pp. 120-121
[2] T. St. J. Marner, 2003, “Grammatica della regia”, Lupetti editori, p. 76
[3] Immagini tratte da < http://www.videomakers.net/>
[4] C.Carlizia, 1992, “Come fare un buon video”, De Vecchi editore, pp. 44-50
[5] M. Siringo, “L’inquadratura”, Disegni 3D di Erregi, <http://www.videomakers.net/>
[6] T. St. J. Marner, 2003, “Grammatica della regia”, Lupetti editori, pp. 104-110
[7] M. Siringo, “Filmare con il video” <http://www.videomakers.net/>
[8] C.Carlizia, 1992, “Come fare un buon video”, De Vecchi editore, pp. 51-60
Leave a reply